STRASBURGO – Nuovo smacco per le famiglie arcobaleno protette e sostenute in Italia da Schlein e soci. Dopo le pronunce di diversi tribunali italiani, anche la corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha dichiarato irricevibili i ricorsi proposti contro l’Italia relativi al rifiuto di trascrizione di atti di nascita formati all’estero con il ricorso della pratica della gestazione per altri, sia al rifiuto di una seconda madre nel caso di bambini nati in Italia con la tecnica della procreazione medicalmente assistita.
È quanto si legge in una circolare del dipartimento per gli affari interni del Viminale diramata oggi, secondo cui la corte di Strasburgo, pur confermando la necessità del riconoscimento del rapporto tra il minore e il “genitore d’intenzione”, ha ribadito che rientra nell’ambito della discrezionalità di ciascuno Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, tra i quali si annovera il ricorso all’adozione del minore.
Le coppie italiane avevano chiesto agli ufficiali di stato civile delle loro città di registrare i loro figli all’anagrafe con i nomi di entrambi i genitori. Di fronte al loro rifiuto si sono rivolti alla Cedu, la Corte che garantisce la tutela dei diritti umani fondamentali a livello europeo, sostenendo che il rifiuto del riconoscimento violava due articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 8, che garantisce il «diritto al rispetto della propria vita privata e familiare», e l’articolo 14, che sancisce il divieto discriminazione.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ribadito alcuni punti fermi:
1. La necessità di riconoscere il legame tra i bambini e il «genitore intenzionale», quello cioè che ha deciso di farli nascere insieme al genitore biologico dando il proprio consenso alla maternità surrogata o alla fecondazione eterologa.
2. Il fatto che i singoli Stati hanno un «margine di apprezzamento» nel decidere le forme in cui riconoscere la «relazione genitore-figlio tra il minore e il genitore intenzionale». Avendo l’Italia negli ultimi anni «iniziato a consentire al genitore intenzionale di ricorrere all’adozione in casi particolari», significa che «la volontà di far riconoscere un legame tra i figli e i genitori intenzionali» non si scontra più «con un’impossibilità generale e assoluta». Ricorrere all’adozione in casi particolari, scrivono i giudici, fa parte dell’«ampio margine di apprezzamento di cui dispone (ogni singolo Stato europeo) per quanto riguarda l’attuazione dei mezzi di accertamento o di riconoscimento della filiazione».
L’Italia quindi va avanti per la sua strada, nonostante le veementi proteste delle sinistre e delle nuove famiglie, da loro tutelate.